Il dito della Santa Croce
(Articolo pubblicato nel magazzino Formula AS, no. 404 dal 1-8 ottobre 2001)
Una proposta sorprendente
Qualche settimana fa, alla porta d’ingresso dell’Ospedale Clinico d’Emergenza di Iaşi, vedo entrando a passo deciso, un giovane monaco, con un fagottino alle spalle. La sua presenza suscitò la curiosità. Veniva da lontano e pregò gli inservienti dell’ospedale di condurlo subito al professor Teodor Stamate, il grande chirurgo di Iaşi, il capo della clinica di chirurgia plastica e ricostruttiva. Entrato nell’ufficio del professore, pose entrambi le palme sulla scrivania e senza troppe introduzioni gli disse subito: "Dottore, lei è la mia ultima speranza!"
Al monaco mancava l’indice della mano destra. L’aveva perso quattro anni prima, a causa di un accidente, e, con il passar del tempo, la prospettiva che un bel giorno sarebbe potuto diventare prete lo faceva sentirsi "mezz’uomo". La decisione del monaco fu ferma e definitiva: voleva che il dottore gli tagliasse il dito della mano destra e glielo trapiantasse, facendolo vivere sulla mano destra.
Il caso stupì l’interro mondo medicale di Iaşi. Deve essere menzionato che una tale operazione, il trapianto di un dito dalla mano non-dominante alla mano dominante, per renderle la funzione, è rarissima nel mondo. Poi, nella chirurgia plastica, la motivazione del cliente è di importanza capitale affinché accetti o no un intervento con un tale grado di rischio. Lui steso una persona molto religiosa, il professore Stamate non seppe all’inizio cosa fare. Furono la decisione, l’ostinazione, il coraggio pazzesco del suo paziente a determinarlo di non pensarci sopra e di farlo.
Il professore Stamate confessa di non aver incontrato in un altro paziente una volontà così forte. "Per sicuro, una motivazione religiosa nel trapianto microchirurgico è singolare nel mondo. All’inizio, mi sembrò una richiesta inaccettabile. Come mai rovinare una mano buona per una ragione apparentemente assurda? Per far la mano destra più estetica bastava una protesi in materiale plastico, però al paziente non era utile, perché lui doveva muovere il dito. Avrei potuto poi trapiantargli un dito dal piede alla mano, dato che tali ricostruzioni ne avevo fatto numerosissime, ma nel suo caso, ovviamente, neanche quella era una soluzione. Dunque, per un prete ortodosso, la mano destra senza un dito è un problema molto più profondo di quanto potrebbe sembrare. Accettò di fare quell’intervento, innanzitutto perché sentii che dovevo aiutarlo. Poi, perché tutto il suo caso fu una ragione di meditazione e di riflessione per me. Una cosa del tutto straordinaria…e, alla fine, ma forse di maggiore importanza, accettai quell’intervento perché quell’uomo si fidò davvero di me."
Il sogno della Settimana della Passione
Il padre Ghelasie è un uomo semplice, modesto e sincero, che non s’intende di parole acconce. Il suo confessore gli aveva raccontato una volta quanto fossero importanti le dita di un monaco. Le tre dita avvicinate rappresentano lo spigo di grano, e le due che toccano i capi dei fedeli, dando loro la benedizione, stanno per Adamo ed Eva, come inizio del mondo e di una nuova vita dedicata a Cristo.
Lontano dal convento, ancora tormentato da pene terribili, il monaco comincia a raccontarmi la tremenda storia della sua vita. "Nacqui nella località Asău, provincia di Bacau. Per tutta la mia vita fui falegname e scultore e fu a causa della mia professione che ebbi l’accidente con il dito. Ho 33 anni e presi la tonaca nel ’96. Ero molto peccaminoso. Molto, senti? Una putredine, non so come Dio mi teneva ancora in vita su questa terra! Fumò quasi 16 anni, bevvi, fui sposato fino al ’95, ma ebbi qualche problema e mi separai. Abitai anche da solo. E poi il diavolo mi spinse a convivere con altre donne, cominciai a battermi, a fare scandalo, a bere.
E tutt’a un tratto domandò me stesso. Una settimana interra, da lunedì fino lunedì, rimasi chiuso in casa, da solo, pensando cosa fare. Fumavo due pacchetti di Carpaţi ogni notte, stavo e calcolavo in quale direzione andare. Mercoledì, ebbi un sogno. Sognò qualcuno che mi diceva che c’erano soltanto due posti. Non so nemmeno chi fosse e neanche se lo vedessi bene. Mi disse soltanto quello: "Gheorghita, ci sono solo due posti…" mi svegliò tormentato, spaventato e tutto sudato."
Non importa quanto si sforzasse, il monaco non riesce nemmeno oggi a ricordarsi chi gli aveva parlato in quel sogno che cambiò la sua vita." Allora, pensavo quali fossero i due posti? Lunedì di notte fumò e bevvi più che mai e tutt’a un tratto mi resi conto: sia era il Paradiso, sia era l’Inferno! Quelle erano le due cose, non poteva essere altro. Martedì mi svegliò di mattino e me ne andò verso il Convento Sihastria, dove rimasi per un anno. Fu lì che tagliai il mio dito."
Notte con Padre Cleopa
Fu venuto poi per le mani dei più esigenti confessori dalla montagna. Imparò da loro che non si poteva vivere con mezzo misure, che in Dio ci si poteva credere soltanto "con rabbia" e si rese conto che la vita era, infatti, molto più semplice di quanto possa sembrare e che eravamo noi stessi a complicarla. Per Padre Ghelasie non esiste nient’altro che l’Inferno e il Paradiso. "A Sihastria non mi hanno assegnato dall’inizio nella falegnameria."
Per quattro mesi mi hanno tremato le mani e i piedi come se fossi posseduto dal diavolo, tanto ero stato peccaminoso e pagano. E un bel giorno vidi un vecchio dalla barba bianca fermandosi di fronte a me, mi benedì e mi dissi: "Ehh, caro mio, la tua battaglia appena comincia…". Come poteva sapere il vecchio quali fossero i miei pensieri, poiché non mi aveva visto prima. I miei frati mi dissero che era il Padre Cleopa. Non mi avevo mai confessato da lui, ma ogni parola della sua Santità era come una medicina per la mai anima.
Sentendo che fin’allora non mi avevo mai confessato, che non avevo mai ricevuto il sacramento dell’Eucaristia e che non ero mai andato in chiesa nella mia vita, il priore mi mandò dal padre Antim, il più rigoroso confessore da Sihăstria. Guai a te se ti acchiappava quando imparavi la confessione a memoria, come una poesia, e gli dicevi quel venerdì quello che gli avevi detto il venerdì scorso. Ancora oggi lui è il mio confessore. È lui a darmi dei canoni e sempre lui a perdonarmi i peccati, non metto un passo senza che lui sapesse. E il tempo passò, il padre priore acconsentì che io andassi in falegnameria e fu lì che io perso il mio indice.
"Il naso" sacerdotale: Il padre Iustin da Petru Voda
Dopo un anno, me ne andò da Sihastria. Attraversò una montagna e giunsi su un’altra, al convento Petru Voda. Fu lì che conobbi un altro grande padre: padre Iustin Pârvu. Il padre Iustin mi battezzò per il monachismo. Indossavo una camicia bianca, lunga, avevo i capelli liberi, e il padre mi domandava duramente: "Rinunci alla famiglia? Rinunci a tua madre? Rinunci a tuo padre? Ai tuoi fratelli, alle tue sorelle?...". I miei genitori c’erano nella chiesa e stavano piangendo. Fu molto difficile... "
Il padre Ghelasie si fermò, siccome, in quel momento della nostra discussione, quando si trattava del grande padre Iustin Pârvu, valeva la pena di rifletterci un po’, non si poteva passare oltre. Mi disse che, a differenza delle pene che la sua Santità aveva affrontato - le malattie, la vita da eremita, i tormentosi anni di prigione - il suo dito è una bagattella e che si sentiva proprio vergognato di parlare tanto di sé. Teme di troppe parole e dal peccato della superbia, vorrebbe sempre distruggere la sua personalità, prendersela con sé, sparire all’attenzione di quei dei suoi dintorni. Quella cosa era facilmente osservabile, proprio dal suo atteggiamento nell’ospedale. Qualsiasi cosa qualcuno gli chiedesse - pazienti, infermieri - la faceva subito, senza protestare, con lo stesso sguardo stupito, siccome voleva chiedere perdono per essersi riavuto più presto.
"La prima volta che il padre Iustin mi vide, mi apostrofò: "Senti, figlio, perché girate voi così da un convento all’altro, come le pecore senza pastore? Perché te ne sei andato da Sihastria?". Ero sporco dopo il viaggio, avevo una camiciola lunga e nera, fino sotto le ginocchia, e lui mi stava dicendo: "Il frate con la camiciola grande". All’inizio, non mi dessero nemmeno un letto per dormire. Stavo nelle foreste, nei dintorni del convento, ma giurò di non andarmene finché non mi accettassero… "
Per due settimane, il priore da Petru Vodă lo lasciò vagare da solo nella foresta, per spiare l’organizzazione del convento e, a volte, quando i frati lo vedevano, lo prendevano in giro, con quell’arguzia ingenua, scolaresca: "Ha, ha, eccolo! il frate dalla camiciola grande…". Il padre Ghelasie si sta divertendo pure lui pensando a quei tempi. "Ma lì non avevano nessun falegname e, un bel giorno, il padre Iustin dice a un altro monaco: "Senti, vedi quel frate dalla camiciola grande? Pretende di fare il falegname, vai a portarlo nel convento". E dopo altre due settimane, mi chiamò nella sua stanzetta, mi dette le chiavi e mi disse di andare nella falegnameria. Per tre anni vissi felice. Fino l’anno scorso quando, già monaco, cominciai a pensare a fare il prete. D’allora in poi non pensò ad altro che al professore Stamate, la sola persona del mondo che mi poteva salvare…
Incamminato verso l’ospedale, pregò tutto il tempo. Partii così, dicendomi un "Che Dio mi aiuti!", deciso di non tornare indietro quando giungevo lì. Non ebbi paura neanche per un istante, fino al tavolo operatorio. Fu solo quando vidi sopra di me tutti quei dottori con la bocca coperta che cominciai a piangere. Piansi, sì, piansi per paura. Poi m’addormenta.i"
Il dito resuscitato
L’intervento cominciò mercoledì, il 29 agosto, alle ore 10:00 e durò sette ore. Due squadre di chirurgi professionisti, coordinate dal professor Stamate, si occuparono delle palme del monaco. Una squadra gli staccò il dito sano, mentre un’altra preparava minuziosamente ogni piccola vena, ogni tessuto, muscolo o tendone della mano destra, per connetterli poi a quelli pari del dito mancante di vita. Di più, dovevano essere ricollegati con grande cura, sotto il microscopo, tutti i nervi. Il monaco aveva bisogno non soltanto di muovere il suo dito, ma altrettanto di sentirlo.
Il padre Ghelasie dice che il solo miracolo che abbia mai visto con i suoi occhi fu il successo di quell’intervento.
Mi svegliò alle otto di sera, all’incirca, con pene terribili a entrambi le mani. Mi portarono a Rianimazione e al mattino mi portarono la sù, nel Salotto 5. Il professore venne da me, tocco il mio dito e non disse nulla. Solo quando uscì dal salotto lo vidi fare un segno con l’occhio alla dottoressa Hermeziu. E fu allora che mi resi conto che tutto sarebbe andato bene. E quando venne la seconda volta e guardò la mano, mi disse che il dito era vivo. Non so come dirvelo, fui così felice da non poter parlare più per ringraziargli. Stavo nel mio letto e piangevo. Ma non volevo piangere, le lacrime cadevano da sole e non potevo fermarle. Il dottore rise e mi domandò come stavo. Gli dico: "Professore, mi fa molto male". Oh, dio, quanto godevo quella pena… se mi faceva male, significava che l’avevo, che era mio, era caldo, lo sentivo pulsare.
È così che dirò a tutti i giornalisti e a tutto il mondo: ‘sto dottore ha una grazia divina che fa dei miracoli. Non perché voglio ringraziargli, per sicuro è provetto nella sua professione. Anche se il mo intervento non sarebbe stato riuscito, io direi lo stesso: in queste persone si sente la grazia divina! Un medico ottimo, lo consci secondo la sua grazia divina, è come un prete. Non ti cura con lo scalpello, ma ti cura con il calore che ce l’ha nell’anima, con lo sguardo, con la sua natura. Allora, all’inizio, quando mi domandò "E cosa farai se l’intervento non sarà riuscito?" gli ho risposto: "Professore, sono sicuro che sarà riuscito!". "E come mai sei così sicuro?", mi domandò ridendo. Gli dico: "Perché lo so che Dio le aiuta e opera con le sue mani."
Noi, le persone comune, non ci rendiamo conto, ma attraverso le mani di questi medici si fanno dei miracoli, quei miracoli veri, forti, forse proprio divini. E allora pensi: come puoi non pregare per tali uomini? Come puoi non ricordarli sempre nelle preghiere? Io stesso, anche se il mio dito non curasse, pregherei per lui per sempre."
Bogdan Lupescu